martedì 24 marzo 2009

Le foglie prendono, le auto restituiscono.


Tutta l’energia disponibile sulla terra deriva dal sole, fa eccezione solo l’energia nucleare.
La luce sotto forma di radiazione elettromagnetica è assorbita dal nostro pianeta, venendo immagazzinata, attraverso la fotosintesi clorofilliana, dalle sostanze organiche.
La fotosintesi clorofilliana è l’insieme delle reazioni durante le quali le piante verdi producono sostanze organiche a partire da CO2 e dall’acqua, in presenza di luce.
Mediante la clorofilla, l'energia solare è trasformata in uno zucchero chiamato glucosio, elemento fondamentale per la vita della pianta la cui formula chimica è composta da 6 atomi di carbonio, 12 di idrogeno e 6 di ossigeno. Alla pianta, detta autotrofa, rimangono 6 atomi di ossigeno atmosferico di cui si libera grazie agli stomi delle sue foglie.
Gli stomi sono piccole aperture a forma di bocca situate nella pagina inferiore delle foglie, le “labbra” di questa bocca sono due cellule rigonfie, dette cellule di guardia, poiché regolano il passaggio dei gas in entrata e in uscita.
Sintetizzando la fotosintesi può essere rappresentata, in modo approssimato, da questa equazione generale:
6CO2 + 6H2O + energia → C6H12O6 + 6O2
che corrisponde a:
anidride carbonica + acqua + energia solare → glucosio + ossigeno

La biomassa fossile creata in milioni di anni, ha dato origine a numerose riserve di combustibili, individuabili nei giacimenti di gas, carbone, petrolio.
L’anidride carbonica sottratta per milioni di anni all’atmosfera dalla fotosintesi clorofilliana, è incautamente liberata di nuovo nell’atmosfera dal consumo energetico delle centrali termoelettriche e dalle miriadi di automobili delle nostre città, ponendo degli interrogativi inquietanti sul futuro del nostro ecosistema.
Bruciando le attuali quantità di combustibili fossili, stiamo ritornando vertiginosamente ai valori di anidride carbonica in atmosfera presenti in ere geologiche sempre più lontane nel tempo.
E’ difficile valutare le conseguenze di un cambiamento così repentino, che potrebbero rivelarsi disastrose per le distribuzioni dei ghiacci ai poli, per le correnti marine, per i venti e per tutti gli equilibri termici e dinamici del nostro pianeta.
La soluzione a tutto questo è complessa, ma si può iniziare con sane politiche energetiche basate sulle fonti rinnovabili con in testa il fotovoltaico di ultima generazione, capace di trasformare efficientemente la luce solare direttamente in elettricità.
Anche la nanotecnologia ci viene incontro, infatti, alcuni ricercatori dell'Università statale della Pennsylvania hanno progettato e preparato un prototipo che utilizza una struttura a nanotubi capace di sfruttare la luce solare per convertire l'anidride carbonica in ossigeno e idrocarburi.
Il cuore del processo è un fotocatalizzatore, realizzato con nanotubi in biossido di titanio, la vera difficoltà nella messa a punto del prototipo è stata la individuazione della forma della superficie di supporto e distribuzione dei nanotubi; sono state scelte molte forme , come nanoparticelle, aghi, pellet e film multistrato.
Con il supporto dell’innovazione tecnologica si possono superare tutte le barriere di carattere economico che attualmente determinano una forte dipendenza dalle fonti fossili, come una terribile droga che attacca minacciosa il nostro futuro e soprattutto la nostra salute.

domenica 15 marzo 2009

Film sottile: l’evoluzione del fotovoltaico.


Spesso si deve impiegare più energia nella produzione di una cella fotovoltaica di quanto la cella stessa ne produrrà in tutta la sua attività di funzionamento.
Nel fotovoltaico esistono problemi anche dal punto di vista ambientale, infatti, il trattamento del silicio è svolto con l’utilizzo di grandi quantità di acidi molto tossici che in seguito dovranno essere smaltiti con particolari processi chimici.
Nei laboratori degli istituti di ricerca e dell’industria solare si cerca pertanto di produrre celle fotovoltaiche con materiali più ecocompatibili e con un rendimento maggiore.
Alcuni siti industriali si stanno concentrando sulla produzione di celle fotovoltaiche sottili, attraverso una tecnologia che si chiama CIS. Questo acronimo sta per una combinazione di rame, indio e il semi-metallo selenio, materiale che si comporta come un semiconduttore fotoattivo.
Esistono altre tecnologie che utilizzano semiconduttori come cadmio-telluride (CdTe tellururo di cadmio) o rame, indio, gallio, selenio e zolfo (CIGSSe), ottenendo risultati soddisfacenti nella trasformazione da energia solare in elettrica.
Mentre le celle fotovoltaiche di silicio devono avere almeno uno spessore di qualche decimo di millimetro per essere in grado di trasformare la luce in elettricità, le celle a film sottile fanno lo stesso lavoro con uno spessore cento volte minore, quindi risparmiando materiale ed energia.
Nella tecnologia del film sottile i singoli semiconduttori sono semplicemente evaporati e depositati in strati sopra un supporto di vetro o di metallo, ma anche su supporti flessibili come teli che possono essere opportunamente piegati secondo le esigenze applicative.
Un altro metodo tecnologico è lo “sputtering”, un sistema ecologico in cui un bombardamento di ioni estrae atomi da vari materiali depositandoli sul substrato scelto. Questo processo avviene sotto vuoto e richiede un tempo minore rispetto alla semplice evaporazione.
Lo sputtering è la tecnologia più pulita di ogni altra tecnica di rivestimento e fornisce una molteplice combinazione di vantaggi basata prima di tutto su un metodo di deposizione economicamente efficiente che genera un sottile e uniforme rivestimento, ed in secondo luogo su un processo a bassa temperatura.
Altri vantaggi evidenziano un forte legame tra il film semiconduttore ed il substrato perché entrambi sono saldati a livello molecolare, una versatilità operativa perché è un trasferimento a freddo, che può essere usato per depositare materiali su ogni tipo di substrato, come i metalli, la ceramica, il vetro e i materiali plastici, ed infine il processo ha la possibilità di automatizzare il controllo di deposizione.
Vediamo sinteticamente i principali step di questo processo, il materiale di rivestimento è inserito nella camera a vuoto come catodo sotto forma di piastra metallica. Dopo che nella camera è stato creato il vuoto, viene introdotto il gas di processo, è usato normalmente argon per il suo elevato peso atomico, ed infine si applica un’alta tensione elettrica.
A questo punto gli ioni positivi di argon subiscono una accelerazione verso il catodo negativo ed in seguito a ripetuti urti espellono gli atomi della piastra metallica, creando un materiale evaporante che si deposita sui substrati degli oggetti già sistemati all’interno della camera a vuoto, successivamente questo materiale evaporante condensa formando il rivestimento.
Possono essere inseriti in uno stesso sistema di rivestimento sotto vuoto catodi diversi costituiti da materiali differenti, in tal modo si ottengono deposizioni multistrato assolutamente originali ed innovative.
La deposizione per sputtering permette di ottenere film di ottima qualità, composti da ogni tipo di materiale e con particolari accorgimenti consente la realizzazione di ricoprimenti con proprietà diverse dal materiale di partenza in fase massiva.
Analizziamo alcune applicazioni pratiche sull’utilizzo del fotovoltaico a film sottile, una di queste è rappresentata dai tetti di molti capannoni industriali che non sono in grado di sopportare il peso della struttura e degli ancoraggi un impianto fotovoltaico tradizionale.
Il problema sparisce quando si tratta di applicare su un tetto celle fotovoltaiche sottili con un film fotoattivo di alcuni millesimi di millimetro. La soluzione è quella dell’applicazione dello strato fotovoltaico su supporti come teli arrotolabili, che possono essere tagliati secondo la forma del tetto o incollati direttamente su una facciata, superando l’ostacolo del peso del sistema fotovoltaico in silicio.
Una nuova fase innovativa che sta partendo in questi ultimi anni, con gli sviluppi delle nanotecnologie, promette ulteriori miglioramenti tecnologici.
La capacità di progettare materiali a livello nanometrico con proprietà innovative rende possibile una nuova ottimizzazione del processo fotovoltaico. Il materiale da cui si parte è sempre un semiconduttore come il (CIGS) disselenuro rame indio gallio, o in alternativa polimeri fotovoltaici di nuova generazione. Questi semiconduttori sono utilizzati sotto forma di inchiostri, vengono depositati secondo le tecniche della stampa rotativa, e progettati con formule che permettono l’autoassemblaggio a livello molecolare di strutture geometriche disposte in un preciso ordine tridimensionale, nell’intervallo tra 1 e 100 nanometri.
Con queste tecnologie si raggiungono efficienze dell’effetto fotovoltaico simili a quelle del silicio tradizionale ma con costi inferiori.
La tecnologia di deposizione per stampa permette l’uso di materiali di supporto meno costosi di quelli per la diffusione sotto vuoto, ottenendo caratteristiche più flessibili, resistenti e maneggevoli.

mercoledì 11 marzo 2009

NANOFORUM 2009:TORINO PER TRE GIORNI CAPITALE DELLE NANOTECNOLOGIE


Dal 9 all’11 giugno nelle città della Mole Antonelliana presso il Centro Congressi di Torino Incontra, ospitata dalla Camera di Commercio di Torino, si svolgerà il quinto incontro del Nanoforum dal titolo “ Micro, nanotecnologie e nuovi materiali: dove ricerca e impresa si incontrano.
Ancora una volta si evidenzia la differenza tra nanoscienza e nanotecnologia, la prima risiede nei laboratori di ricerca e rappresenta l’incontro interdisciplinare tra la biologia molecolare, la meccanica quantistica, la chimica supramolecolare e l’ingegneria dei materiali; la seconda, è l’applicazione industriale della prima attraverso complessi processi innovativi.
Infatti, le nanotecnologie hanno ad oggetto la manipolazione di materiali su scala atomica e molecolare, la dimensione nanometrica del materiale manipolato apre orizzonti applicativi che in passato erano impensabili, perché le proprietà osservabili a tale dimensione si prestano ad essere utilizzate, anche su scala diversa, per sviluppare processi e prodotti caratterizzati da nuove funzioni e prestazioni, in un numero quasi illimitato di settori.
Nanoforum si conferma come punto d'incontro per promuovere le nuove possibilità offerte dalle nanotecnologie e favorire i processi di trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca e delle imprese.
Un'importante occasione per conoscere lo stato dell'arte a livello mondiale e stabilire contatti con ricercatori italiani e stranieri.
Appare dunque evidente la necessità di favorire, anche in materia di nanoscienze e nanotecnologie, un dibattito aperto e costruttivo tra scienza e società, che permetta di distinguere i dati scientifici dal sensazionalismo o, all'opposto, da timori infondati sulle conseguenze sanitarie, di sicurezza, ambientali e sociali di queste nuove tecnologie.
Interessante è l’architettura didattica dell’evento, infatti, i convegni saranno aperti da una sessione introduttiva che ha lo scopo di fornire degli elementi di base sulle nanotecnologie e permettere anche ai meno esperti di entrare a far parte di questo mondo in piena evoluzione.
Tutto ciò è stato studiato per consentire ad imprenditori e manager di comprendere cosa sono i potenziali campi applicativi e cosa consentono di fare le nanotecnologie.
Seguirà una sessione plenaria e successive sessioni di approfondimento rivolte agli esperti del settore in cui saranno trattati svariati argomenti tra i quali la nanomedicina, lo studio di nuove celle fotovoltaiche, i materiali compositi al plasma e al laser, i MEMS, le innovazioni nanotech su automotive e aerospace.
La varietà e la molteplicità degli agomenti sopra ricordati, fanno delle nanotecnologie vere e proprie "tecnologie orizzontali" o "capacitanti", perché in grado, come più volte detto in numerosi convegni, di permeare ogni settore tecnologico.

martedì 3 marzo 2009

SIAMO DIVENTATI UN PO’ EXTRATERRESTRI


Il 3 marzo 1972 decollava dalla piattaforma Atlas-Centaur la sonda Pioneer 10 con inserita sul lato una placca recante un messaggio dell’umanità verso ipotetiche civiltà extraterrestri, tecnologicamente evolute.
Questo messaggio, ideato dallo scienziato Carl Sagan, mette in evidenza la transizione dell’idrogeno ritenuto a ragione l’elemento chimico maggiormente presente nell’universo, la rappresentazione simbolica della sonda, una mappa stellare con l’indicazione di 14 pulsar, il tragitto che la sonda deve compiere, un uomo con la mano alzata in segno di buona volontà e una donna stranamente priva d’organi genitali.
Approfondiamo ora questo ultimo aspetto, lo scrittore Mark Wolverton racconta che per ottenere l’approvazione dei decisori della NASA, Sagan dovette cancellare la breve linea indicante la vulva della donna.
Anche i giornali Los Angeles Times e Chicago Sun Times ricevettero missive dai loro lettori che protestavano contro l’utilizzo del denaro dei contribuenti per spedire oscenità nello spazio, determinando il disegno così come si vede sopra in figura.
Come sono cambiati i tempi!
Oggi, dopo 37 anni, analizzando il messaggio di Carl Sagan vengono alla mente tutte le innovazioni tecnologiche che hanno caratterizzato l’ultimo quarto del secolo scorso e i primi anni del nuovo millennio.
Questa evoluzione tecnologica si è fondata prima sullo sviluppo della microelettronica, con la progettazione di microprocessori sempre più potenti e veloci, e dopo sulla crescita della nanoelettronica che applicando tutte le teorie della meccanica quantistica e dell’ingegneria delle bande ha dato un nuovo impulso alla miniaturizzazione dei sistemi elettronici.
Pochi mesi prima dal lancio del Pioneer 10, l’italiano Federico Faggin creò per l’INTEL il microprocessore 4004, basato su un circuito integrato con circa 2300 transistor.
Questi microprocessori di prima generazione erano progettati con tecnologia PMOS, in pratica con MOS di tipo P, quindi erano a basso costo e poco rapidi.
Nel 1973 era lanciata nel mercato dell’elettronica la seconda generazione di microprocessori con tecnologia NMOS, in pratica MOS di tipo N, quindi più veloci dei PMOS e con un livello d’integrazione maggiore.
Tra questi microprocessori faceva vanto di se lo Z80 della ZILOG.
Nel 1978, a sei anni dalla partenza del Pioneer 10, sono apparsi i microprocessori a 16 bit, terza generazione di questi circuiti integrati come il famoso 8086 della INTEL.
Agli inizi degli anni 80 cominciavano ad essere commercializzati microprocessori con architettura a bus dati a 32 bit e dal 1985, a 13 anni dal lancio del Pioneer 10, l’INTEL con i microprocessori 80386 e 80486 parla di quarta generazione.
Tali circuiti sono realizzati con tecnologia CMOS, vale a dire MOS complementare, e consentono di lavorare a frequenze superiori a 50 MHz con un limitato consumo di energia.
Nel 1993, ventuno anni dopo il lancio del Pioneer 10, nascono i microprocessori Pentium che sono 5 volte più potenti del 80486 a 25 MHz e che incorporano una tecnologia innovativa per inserire ben 3 milioni di transistor in un solo chip.
Nel 1997 con il Pentium II si mette in evidenza la tecnologia a 0,35 micron (ovvero 350 nanometri), che per gli ultimi modelli passa alla dimensione minima di un singolo transistor a 250 nanometri. Ancora non siamo entrati nel mondo della nanoelettronica perché questa inizierà quando si progetteranno componenti elettronici di dimensioni inferiori a 100 nanometri. Infatti la definizione americana di nanotecnologie data nel 2000 nell’ambito della National Nanotechnology Initiative (NNI) USA è:
“Nanotechnology is the understanding and control of matter at dimensions of roughly 1 to 100 nanometres, where unique phenomena enable novel applications... At this level, the physical, chemical, and biological properties of materials differ in fundamental and valuable ways from the properties of individual atoms and molecules or bulk matter”.
L’evoluzione in ogni modo continua, come continua lo scaling del singolo componente transistor e la crescita della densità d’integrazione nel microprocessore.
Nel 2000 nasce il Pentium IV, nel 2003 l’Opteron, nel 2004 l’Itanium con dimensioni del singolo componente di 90 nanometri confermando lo standard di produzione per i chip di silicio in termini di lunghezza illustrato nella International Technology Roadmap for Semiconductors, si entra finalmente in termini dimensionali nella nanoelettronica, e sono passati 32 anni dalla partenza del Pioneer 10.
Nel 2006 fa il suo debutto commerciale il microprocessore Core 2 Quad costruito con tecnologia a 65 nanometri ed infine nel 2008 è la volta di Itanium Quad Core fabbricato sempre con tecnologia a 65 nanometri, con una riduzione a 45 nanometri per i chip Silverthorne.
Le architetture dei microprocessori nei 37 anni che vanno dal lancio del Pioneer 10 ad oggi hanno avuto continui sviluppi, passando dall’INTEL 4004 di Faggin all’ Itanium Quad Core che ha una densità d’integrazione pari a 2000 milioni di transistor, ovvero quasi un milione di volte la capacità del primo microprocessore 4004.
Quando veniva creato il microprocessore 80286 il Pioneer 10 diventava il primo oggetto fabbricato dall’uomo a lasciare il sistema solare dopo aver superato l’orbita di Plutone.
Nel 1997 anno di fabbricazione del Pentium II gli astronomi avevano dato per perso, fuori dal sistema solare, il Pioneer 10 anche se dopo qualche tempo si riattivarono le comunicazioni con il satellite artificiale.
La sonda continuerà a dirigersi verso la stella rossa Aldebaran, l’occhio della costellazione del toro e per raggiungerla impiegherà ancora 2 milioni di anni, il suo destino è quello di sopravvivere a tutte le innovazioni tecnologiche dell’uomo, dalla nanoelettronica a tutte quelle future che si susseguiranno nel tempo.
Rifletto sulla Pioneer plaque e sui primi 37 anni di questo lungo viaggio fuori dal sistema solare, pensando che forse anche noi, rispetto alla tecnologia del Pioneer 10, siamo diventati un po’ extraterrestri.